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Sí e no, è la risposta del TAR Catania (sentenza n. 1253 del 2018)

Ai sensi dell’art.183 del D.lgs. n.152/2006, comma 1, lett.a), è “rifiuto”: “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.
In relazione alla nozione di “rifiuto” la giurisprudenza ritiene che in essa rientri qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi, in qualsiasi maniera detta operazione sia compiuta.
In particolare, la nozione di rifiuto non dipende dalla natura del materiale (che abbia o meno valore economico, che sia riutilizzabile o meno), né dall’uso che terzi faranno del materiale stesso una volta che questo sia uscito dalla sfera di controllo del produttore/detentore, ma esclusivamente dalla volontà di quest’ultimo di non voler più utilizzare il materiale stesso, secondo la sua funzione economica di origine.
A supporto di quanto appena detto, l’art. 184-ter del D.Lgs. n. 152/2006 stabilisce, al primo comma, che un rifiuto cessa di essere tale, quando è sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo (ma non prima).
Il successivo comma 5 dello stesso art. 184-ter prevede che “la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.
È stato, altresì, affermato che “Rientrano nella nozione di “rifiuto”, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 22 del 1997 (come risultante dalla interpretazione autentica effettuata dall’art. 14 della L. n. 187 del 2002) tutti i materiali e i beni di cui il soggetto produttore “si disfi”, con ciò intendendo qualsiasi comportamento attraverso il quale, in modo diretto o indiretto, una sostanza un materiale o un bene siano avviati e sottoposti ad attività di smaltimento o anche di “recupero”, e che sia da altri recuperato e messo in riserva, con esclusione del solo deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui i materiali o beni sono prodotti, non rilevando ad escludere la natura di rifiuto del bene l’intenzione di chi effettua il recupero, o anche la reale possibilità di reimpiego dei materiali nel ciclo produttivo.
Alla luce di tale ricostruzione, la plastica consegnata dal cittadino agli eco-conferitori non trasformata e non ancora recuperata costituisce rifiuto.
Si tratta di rifiuti che derivano da imballaggi primari ovvero quelli concepiti in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore (art.218 lett.b del D.Lgs. cit).
Essi costituiscono, pertanto, rifiuti domestici ai sensi dell’art.184, comma 2, lettera a), del d.lgs. n.152/06, in quanto provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione ed in particolare rifiuti domestici destinati al recupero.
In particolare ai sensi dell’art.198, comma 1, del D.lgs. 152/2006, i Comuni continuano la gestione dei rifiuti in regime di privativa relativamente a due categorie di rifiuti ossia i rifiuti urbani e i rifiuti assimilati agli urbani avviati allo smaltimento: “1. I comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Sino all’inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall’Autorità d’ambito ai sensi dell’articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui all’articolo 113, comma 5, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.”.
Inoltre, a mente dell’art.217 comma primo, ultimo periodo, del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico Ambientale) “I sistemi di gestione (degli imballaggi) devono essere aperti alla partecipazione degli operatori economici interessati”. Tale regola di mercato, continua il secondo comma, riguarda: “la gestione di tutti gli imballaggi immessi sul mercato dell’Unione europea e di tutti i rifiuti di imballaggio derivanti dal loro impiego, utilizzati o prodotto da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici o da qualunque altro soggetto che produce o utilizza imballaggi o rifiuti di imballaggio, qualunque siano i materiali che li compongono”.
Ai sensi della normativa citata, non è, invece, condivisibile la tesi secondo cui la dicitura dell’art.198 “avviati allo smaltimento” si riferirebbe non ai “rifiuti urbani” ma solo ai “rifiuti assimilati”, sicché il regime di privativa sarebbe escluso solo per questi ultimi ove non avviati allo smaltimento ma al recupero; ergo tale regime sarebbe riferibile “a due categorie di rifiuti:
a) i rifiuti urbani ( tutti i rifiuti urbani );
b) rifiuti assimilati ( agli urbani ) avviati allo smaltimento”.
Invero, oltre alla formulazione letterale dell’art.198 cit,, è anche l’intenzione del legislatore, quale già espressa nell’art.21, del D.lgs. n.22/97 e poi nell’art.23 della legge 179/2002, a indurre a ritenere che la dicitura “avviati allo smaltimento” faccia riferimento sia al rifiuto che agli assimilati.
L’art.198 in questione, quindi, costituisce conferma di una volontà che il legislatore ha già esplicitato (da ultimo) nell’art.23, comma 1, lett. e) della legge n.179/2002, secondo cui “La privativa comunale non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati a far data dal 1° gennaio 2003”, ponendosi in linea con tale ultima norma.
Conseguentemente, le attività volte al recupero e non allo smaltimento non rientrano nella privativa comunale della gestione dei rifiut
Superato il diritto di privativa, viene introdotto, con riferimento alle attività di recupero, il possibile esercizio di attività di pubblico interesse aperta al mercato e, quindi, agli operatori privati.
L’apertura al mercato per l’attività de qua – qualificabile come attività di pubblico interesse ai sensi dell’art.177, co.1, del D.Lgs. n.152/2006 – non esclude, però, alla luce dell’attuale sistema normativo, le competenze programmatorie e pianificatorie regionali, provinciali e comunali quali previste dal d.lgs. 152/2006 (art.199 e segg.), che riguardano la gestione dei rifiuti urbani nel suo complesso.
Per quel che qui interessa, in base alla normativa vigente, riutilizzare, riciclare e recuperare materie prime dai rifiuti costituiscono sì azioni prioritarie, ma in un organico sistema di gestione integrata.
A tal riguardo, il titolo II del codice ambientale (art. 205) – così come l’art. 9 della L.R. 9/2010 – fissa gli obiettivi minimi di recupero e di riciclaggio e indica che la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai princìpi di responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti.
In particolare, l’art. 205 cit. prescrive che ogni Comune debba assicurare la raccolta differenziata nelle percentuali indicate e, a tali fini, è indispensabile che il Comune abbia il completo monitoraggio dell’attività di raccolta dei rifiuti svolta sul territorio.
In presenza di attività private autonome, ancorché autorizzate, l’attività di monitoraggio della raccolta potrebbe subire menomazioni, potenzialmente determinando un’alterazione della percentuale di raccolta rilevata rispetto a quella effettiva ed esponendo, di contro, il Comune al rischio di penali qualora la percentuale rilevata sia inferiore all’obiettivo minimo sancito dalla legge.
Per quel che rileva, l’attività di raccolta della plastica svolta da soggetti privati, al di fuori di convenzioni con i Comuni, sfuggirebbe al controllo della P.A., con pregiudizio per l’attività di gestione dei rifiuti.
Né ai detti fini può considerarsi sufficiente il possesso dell’autorizzazione in capo alla società (prevista all’art. 212, c. 5, d.lgs. 152/2006) o la mera disponibilità della stessa a fornire al Comune tutti i dati relativi alla raccolta, non potendo la gestione di tali essenziali dati essere lasciata alla mera volontà dell’operatore privato.
Ne consegue che, in assenza di un preciso accordo giuridicamente vincolante che regolamenti i rapporti tra impresa privata e Comune, l’attività di raccolta di rifiuti di plastica tramite eco-conferitori deve considerarsi illegittima, se svolta al di fuori del sistema integrato, come previsto dal D.Lgs. 152/2006 e della programmazione allo stesso relativa.

Quindi, l’attività del privato di intercettazione del rifiuto con gli eco-compattatori è possibile ed anzi da incentivare; tuttavia essa deve inserirsi all’interno del circuito complessivo di gestione del RU delle attività in questione, quale iniziativa che si ponga ad integrazione e supporto dell’attività dell’ente pubblico e dell’attività programmatoria dello stesso nei termini di cui si è detto; essa, pertanto, ai fini della sua ammissibilità, va previamente regolamentata e fatta oggetto di convenzionamento con il comune, alla luce della logica del sistema integrato voluto dal D.Lgs. n.152/2006.
Da un punto di vista pratico, del resto, un’iniziativa del genere, al di fuori di una programmazione dell’ente (e quindi “fuori convenzione”), oltre alle dette problematiche in termini di certezza del dato relativo alla percentuale di raccolta differenziata raggiunta, potrebbe comportare conseguenze anche nell’ambito dei rapporti con il gestore del servizio di igiene ambientale, alla luce delle previsioni del capitolato elaborato sulla base di valutazioni pianificatorie che non tengono conto di simili iniziative.

Avv. Vittorio Fiasconaro